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Un partito di outsider, senza campioni del territorio (e delle clientele)

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– Il tanto auspicato ed auspicabile “Partito che non c’è”, al momento non c’è ancora, purtroppo. E con estrema difficoltà i suoi fautori si impegnano con iniziative ed interventi per creare le condizioni migliori alla sua nascita.

E’ evidente che, in questa fase politica così fluida ed in perpetuo movimento, ciascuno stia giocando una partita estremamente tattica e prudente, al limite dell’immobilismo in taluni casi, per evitare il rischio di essere bruciati da qualche evento imprevedibile dell’ultimo istante.

Al riguardo ho molte perplessità.

Ritengo, infatti, ancor di più oggi, che il Paese avrebbe bisogno di una partita giocata a viso aperto, di un progetto di futuro che venisse proposto con generosità e senza tentennamenti, di nuovi protagonisti che si mettessero in gioco sin da subito per assumersi la responsabilità e l’impegno del rinnovamento.

Ma pare che, per ora, l’aspettativa mia e forse di tanti altri sia destinata a rimanere frustrata da calcoli o riflessioni probabilmente più accorte ed utili, di chi è magari più esperto di strategie politiche e comunicative.

Ad ogni buon conto, provo a fare un passo avanti di ottimismo e a dare per scontato che il percorso attivato con e tra i soggetti maggiormente coinvolti ed indiziati (penso, ovviamente, ad Italia Futura, a Fermare il declino e alle piattaforme di Outsider e Zero Positivo) abbia un esito finalmente fondativo del “Partito che non c’è”.

Fondato il “Partito che ci sarà”, però, resterebbe comunque una questione di fondo: come questo dovrebbe radicarsi sul territorio e proporsi alla gente.

Immagino, innanzi tutto, che questo Partito nasca come promotore di idee e di pensiero per un’Italia rinnovata, nuova, dinamica, più libera, più efficiente, più inclusiva, più aperta e più europea.

Ebbene, se questo Partito intenderà davvero concorrere alla costruzione di una società politica migliore, in un’ottica di sincero spirito riformatore, contro caste, privilegi, sprechi e rendite di posizione, proponendosi sulla scena politica in senso stretto, dovrà stare molto attento a darsi, sui territori, una fisionomia organizzativa che dia plastica evidenza di quello spirito.

In questo senso, credo, il “Partito che ci sarà” dovrebbe considerare che il voto del 2013 si caratterizzerà come voto d’opinione, come tale non strettamente legato ai vincoli di appartenenza o di provenienza politico-territoriale propri del passato, bensì determinato dall’adesione a tematiche di fondo forti ed avvertite come giuste dalla gente.

Il “Partito che ci sarà”, dunque, non dovrebbe rivolgersi, quanto meno nella selezione del proprio personale politico di riferimento sul territorio, ai classici “portatori di voti” e, dunque, proprio a quei soggetti, magari con grande background politico, ma anche visti e vissuti oggi dalla gente come espressione della vecchia politica, della casta e del familismo più beceri.

Dovrebbe, al contrario, scegliere chi incarni nella propria esperienza, nel proprio vissuto i temi propri dell’outsidership (ricambio generazionale, inclusione sociale, merito e legalità, partecipazione e diritti di cittadinanza, ecc. ecc..).

Dovrebbe scegliere chi porti, sulla propria pelle e nella propria carne, i segni dell’appartenenza alla classe dei non garantiti e dei non rappresentati, dei non raccomandati e dei non privilegiati, degli esclusi dalla politica dei salotti e delle cricche.

Diversamente, il “Partito che ci sarà” si proporrebbe come il solito partito dell’élite e dell’establishment, basato solo su cointeressenze nepotistiche o familistiche, che tenta di riorganizzarsi dietro le mentite spoglie di qualcosa di nuovo.

Ebbene, per contrastare una simile percezione del “Partito che ci sarà”, non si può prescindere da valutazioni oggi altre e diverse da quelle su cui i partiti si sono costituiti e organizzati sin qui, ovverosia sulla base di calcoli e  scelte meramente numeriche, quantitative e utilitaristiche, per puntare invece con decisione sul primato della Politica, nel senso più alto, quale affermazione di posizioni ideali forti, moderne ed inclusive.

Saranno questi temi, se rappresentati ed incarnati dalle persone giuste, da persone credibili perché formatesi e cresciute nella tensione, nella concretizzazione e nell’impegno su quegli stessi temi, a catalizzare il voto, non le persone in quanto tali e, tanto meno, i classici “portatori di voti” discendenti da clientele di vario tipo.

Scegliere un giovane (o meno giovane) meritevole, impegnato e “outsider” significa puntare – a mio parere – su di uno straordinario catalizzatore di consenso oggi e, dunque, di voti domani, in un’ottica di visione politica e non di approccio ragionieristico.

Affidarsi, invece, a chi sia comunque riconducibile a vecchie logiche di potere, anche e soprattutto sul territorio, significa nascere già vecchi e garantirsi un minimo consenso oggi e nessun voto in più domani.

E’, forse, un’ottica rischiosa che mi permetto di tracciare.

Credo, però, anche sia l’ottica già del presente, e sicuramente del futuro.

Solo così il “Partito che ci sarà” potrà dimostrarsi soggetto genuinamente riformatore ed espressione in cui possano ritrovarsi davvero tutti e, tra tutti, soprattutto coloro da sempre impegnati a rendere migliore la parte di mondo affidatagli, pur se esclusi da canali, conoscenze, relazioni, legami e percorsi preferenziali.

Ritengo che le potenzialità di un Partito, così concepito e costruito sul territorio, siano enormi e, come tali, non preventivabili in questa fase.

Resta, invece, sicuramente preventivabile il fallimento di una qualsivoglia operazione di metamorfosi decisa a tavolino, per permettere a qualche più che noto protagonista della vecchia politica di mantenere una qualche quota di potere.

Partito avvisato…


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